a prima vista apre un vocale e lo ricorda: dice che succederà, lì, nella
[ volontarietà dello spasmo, e per quanti minuti
a parlare, e intanto di cosa, ma non come. può soltanto piegarsi e marcare con
[ l’urina quanto divenuto necessario,
nella mappa, a delimitare il continuo, l’inviolato se stesso. ancora per quante
[ volte avrebbe disatteso il presente,
chiuso il passaggio obliquo dalla porta di casa, l’apertura dentro il parallelo, non
[ poteva sapere. la compensazione
avveniva nella notazione muta delle coordinate, introiti di fiato, punti cardinali,
[ resoconti di quel che non capisce,
di quanto non comprende, o non potrebbe dire, di quello che si vede e non si
[ vuole riconoscere. in un certo senso
è diventato bravo a spostare l’acqua piovuta nelle scarpe, e davanti, nella corsa
[ perpendicolare delle strade: così
ritira una ricevuta di eterno ritorno, l’onnipresente mancato della colpa che lo
[ estingue. dai modi ai mondi passerà,
per essere prevaricato, si intende, comprende che si rivede solo chi non muore,
[ in via del tutto esclusiva, o meglio
il delta del messaggio dilaniato, la domanda: “tu lo sai cos’è l’apocalisse”, gli spazi
[ separati gli uni dagli altri, percorsi
negli scaffali alti dei grandi magazzini, adesi alle periferie come ponti provvisori,
[ protesi della nazione. è tutto quello
che potrebbe sapere, non fosse contemporaneamente dentro e fuori dalla
[ gabbia. alla mattina, per primo, si presenta
alla discarica con l’esigenza di vomitarci dentro, svuotarla ed inserirci il
[ contenuto, far vedere di aver letto, almeno
questa volta, le istruzioni: posizionare male la sua merce, stortare le viti, essere
[ la mela che marcisce, la piaga aperta
da cui spalanca l’uscio e mastica se stesso. non si ricorda se il cielo sta a destra, a
[ sinistra o sotto di lui, o i tentativi
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