“you, are, lost. you!”

Fausto Romitelli, Dead City Radio – Audiodrome / Per orchestra, 2003


i missili avranno colpito la casa _ dove le antenne potranno sfiorarti _ appena _ rendere ragione del debug _ una leggera pressione positiva_ godendo della panoramica, una vista dall’alto _ l’informazione che difetta _ respira a scatti, si arrampica _ resiste _ con quale slancio potremo spiare chi colpisce chi _ potremmo dire una supremazia, una quantità _ il peso lasciato dietro di sé _ un errore di sistema _ il patogeno che andremo a inoculare _ come un soffio che svanisce _ nella gestione del protocollo, l’impiantistica neurale _ sfollare _ dove la strada finalmente scollina, là _ dove i cavi penzolano ancora gli uni sugli altri _ 480p di risoluzione _ appena prima dell’allerta _ disinfezione _ la macchina impara _ mentre il pilota inizierà col perdersi _ l’agglomerato degli insiemi _ le regolazioni del sedile sagomato sulla schiena _ scarica il pacchetto di dati _ comodo, sull’orizzonte che si surriscalda _ aggrega un cluster di giustificazioni _ propaganda _ salva l’aggiornamento _ l’immunodepresso _ la schiuma espansa, leggermente, si crepa _ la faccia disgregata nel glitch _ ha letto i dati, la reportistica _ la conta inizia prima che finisca il gioco _ saldarsi al trauma, adesso _ fare streaming dal punto morto di uno schianto _ un ventilatore meccanico in blocco _ nella fatalità infinita chiude la coscienza in parentetiche _ un arto staccato dalla sede, lì, nello sterrato _ disinforma l’infanzia andata a scalare _ niente che si veda, comunque _ fatto su misura _ per planare, essere parte del volo _ trenta, ventinove _ il contenimento biologico _ l’avatar planato altrove _ un organo di fame _ il bosco virtuale che sarà riparo _ perché, la colpa _ deterre una reazione a catena _ di chi è colpa, di chi è colpa _ chiude invisibilmente il tutto dentro un tag _ virtualizza _ clean room _ calcola nuove biometrie, dettagli identitari _ conseguenze _ per curvature che irradiano una fame, un altro pianto _ la routine che serve a riavviare il sistema _ venticinque, ventiquattro _ nell’instabilità del segnale _ riconosce i volti _ tiene la polvere sotto controllo _ l’infanzia arrampicata _ molto lontano dal delirio _ le vie prestate ai crinali, che si fanno fossati _ lontani dal dolore _ il filmato in bassa risoluzione, la camera aerea, una croce al centro _ esiste _ si placa l’aria che resta da inalare _ sono stato io _venti, diciannove _ monitora _ sposta il dominio in resti, lo disperde _ viste aeree, traballamenti di stativo _ analogie _ penzola, si prende la briga _ sommerge il datacenter _ la testa del paziente _ scintillano di luce_ nel feed _ resta nella cache, oggi e domani _ sedici, quindici _ aprire la porta sul retro della sorveglianza _ perché si fa polvere, adesso _ essere dispositivo circuitato _ fuori da ogni deterrenza del possibile _ diventato il blackout, l’orfano che manca all’appello _ la dottrina di contenimento _ dodici, undici _ la musica anticipa il fallout, l’impulso, l’emissione _ il prematuro _ camuffarsi nel video _ infittendosi nei boschi e nei canneti _ cerchiamo, scostando un’altra volta il fogliame, il luogo d’impatto _ quattro, tre _ di sirene, e mobilitazioni _ via dalle folate e dalle flotte che ci inseguono _ i circuiti friggono _ non c’è contromisura _ devi datare, detestare _ uno, zero _ danzare, a cosa serve _ perché essere polvere, adesso _ ancora niente, ma che si veda _ a lenire il sereno del cielo _ a fare tana _ sventrare _ rompere materia _ ci resta attaccata un’altra fame _ non sono i tuoi _ né oggi né domani, ricorda _ ragione delle catene _ nostra è la casa, impara _ non potremo mai occuparci della distruzione

AI source: Midjourney Bot. Edited by the author.