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Chat-GPT, 22.49, 10/02/2024
siamo al piano e perdono, le loro cose, tutte, continuamente, perché comunque ancora qui saranno ad aspettarle, all’ascensore, facendo rampe sulle scale mentre attendono che siano gli altri a risalire in casa, fermando l’automobile, facendo a ritroso i viali che li conducono alle proprie abitazioni, non sapendo, provando a governare lo sbando del proprio agire per momentanee alterazioni della soglia di guardia, in fase di disconnessione, più tardi, fra un’emissione di fiato e la vocalizzazione ricevente, per angoli, peggioramenti del possibile, quantità, irraggiamenti solari, dispersioni di calore accumulato dalle masse d’acqua nelle fasi alterne delle maree, mentre le imbarcazioni continuano a disegnare senza pause tracce e movimenti sui sistemi di monitoraggio, nella restituzione volumetrica, di ostacoli, mentre dormono, sul pavimento, sulla frattura longitudinale delle piastrelle posizionate in soggiorno, molto tempo prima, con una leggera inclinazione delle ginocchia, approfittando dei corpi che si dividono all’interno di uno spazio alto, intermedio, visualizzabile a ritroso, ad una velocità continuamente scavalcata da se stessa, di rottura per il lungo delle superfici, a condizione di uno stallo mentale temporaneo, riaperto dal conflitto, nella macina dei chilometri, posti di blocco, azioni frazionate, conforto nella perdita, che davanti alle possibilità di un incontro non spenderebbero tempo, risorse perché il medesimo abbia luogo, ecco, siamo al piano stradale e non li fanno uscire, sono chiusi dentro, dentro e fuori, nelle rette che servono a manifestare percorsi, ipotesi, nel tentativo di smontare, insinuare richieste dietro l’organizzazione di una frase, un modo di dire più o meno improbabile, o celato, il fuori non è male, con le auto escono dalle carreggiate, proiettano i veicoli al di fuori della pavimentazione, dei blocchi di asfalto, frenano, colpiscono la segnaletica verticale, gli spartitraffico, escono fuori dallo spazio visivo, stesi per terra, mentre riposano sul pavimento come manichini, mentre come manichini dormono, senza tasche, le bende rimosse dalle ferite, dalle sedi della ferita, gli oggetti dalle tasche, guardano, sono bravi a vivere in una condizione di blocco, di punizione perenne, guadagno simultaneo, non è il male, è un’esigenza di lacerare il dentro per il fuori, in modo docile, passare in rassegna le interpretazioni, andando avanti per decenni, in un discorso che già all’inizio non si regge, da cui dipartono una serie di rette, di rotte inevitabili, a prescindere dall’incidenza di ciascuna, scomposte in unità minime, mandate di suono, finestre avvicinate a completa chiusura, in sospensione sui battenti usurati degli infissi, per certe quantità di luce, storie parallele a due a due di persone che continuano a non incontrarsi, nello specifico, che non si sono mai incontrate, che non hanno mai manifestato desiderio, interesse all’incontro, segnali di reciprocità, di conoscenza vicendevole, che non si incrociano mai, nemmeno per sbaglio, per accidenti simulati, promozioni di sguardi inconsapevoli di altri che li conoscono, singolarmente, in qualche caso entrambi, ecco, siamo al piano, ma non quello di prima, abbiamo cambiato, costruito un soppalco, non potendone fare a meno, qualcosa possiamo trovare, da accorrere, per adempire, oggetti fuoriusciti dalle tasche, dopo la scelta concordata di apporre una resistenza invalicabile al giorno che si appresta a seguirli, voi, loro, mentre come manichini escono dai veicoli durante le prove di carico, e dormono sul pavimento, mentre hanno scelto di dormire, sul pavimento, mentre il pavimento oppone una frizione alla velocità terminale, messa in conto, come ipotesi, verso il centro della terra, sperimentando l’annullamento delle forze, della forza, da stare in piedi, da soli, nei margini interni dell’incendio, e perdono, tutto, continuamente non sono, non si incontrano, non sembrano più loro
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