“I like circuits where the driver still has a big part to play, even in a poor car. But unfortunately those are the ones that have become very dangerous in this ground effect time. I think I am courageous, you know, but I am not mad.

Today we are cornering so quickly that run-off areas and catch fences are necessary, really necessary. Without them, every mechanical failure would mean complete disaster.

And surely no one would want that.

Patrick Depailler, interview at Brands Hatch, June 1980 (two months before its death)

Being a racing driver means you are racing with other people and if you no longer go for a gap that exists you are no longer a racing driver.

Ayrton Senna, interview at the Australian Grand Prix, 1990

nove giorni prima e nove giorni a seguire, di mezzo le sirene, le telefonate, un con e un senza a cui ci si abitua presto. fuori dagli argini di quello che succede c’è qualcosa che preme, giocando nel tempo che va a dritta, mentre aggredisce percorrenze rettilinee dai test alla gara che comunque ci sarà, ma sempre a scatti, telegrafando sul pedale dell’acceleratore. l’urto sul guard-rail, con le barriere tirate indietro, non ancora montate perché sarebbe stato troppo presto, comunque c’è stato e comunque ci sarà: frontale, ma di fronte a nessuno. decelerano veloci le costanti del corpo, prendono forma nei pezzi, nelle parti di ricambio ricavate da sezioni d’auto rese inutilizzabili, cercate a lungo, poi catalogate come promemoria. tutto, di nuovo, è chiuso, più o meno: si rompe una sospensione, si libera un sedile, un minuto di silenzio e se ne mette un altro, con due braccia, due gambe, non troppo alto, appoggiato al poliuretano che serve a modellare il sedile, con la plastica tutta intorno, a chiudersi sopra la testa. non sanno se p. avesse calibrato quell’attesa, tentato di chiudere la curva a sinistra, sulla banda di asfalto prima, poi in ghiaia, e quanti l’avessero pensato dentro la foresta, non vedendolo tornare ai box, o come hunt durante i test, a dormire dentro la monoposto. la polvere che si solleva, le sirene spiegate.

AI source: Midjourney Bot. Edited by the a.

qualcosa suona, ma non è il rumore che hanno in mente. niente annunci, incursioni, né tragedie, o storie: il caso è questo. per scongelare l’occasione, farne terra, vestito della festa, nella sabbia, non avrebbero potuto suonare al campanello, aprendo la porta: c’è sempre dietro qualcuno, che aspetta, si fa contenitore vuoto della voce. come in questo caso, ciò che si sa viene comunicato allo stesso modo: tutti i presenti ne ricevono, più o meno equamente. c’è chi accorre sul luogo dello schianto, partecipa egli stesso dello schianto, qualche volta ne è acquirente, ne ottiene una parte, saggiandone il costo, solo in momenti, tempi diversi. pochi alla volta, in perdita, e in privato, le persone a cui interessa davvero, come in questo caso, per vedere che a p. succede questo: pochi mesi prima un interrogativo sulle vie di fuga, su protezioni sempre più necessarie a contrastare le velocità crescenti, i cedimenti e i guasti meccanici che portano al disastro, la necessità di non volerlo affrontare. basta fare un po’ di attenzione per capire che la segreteria telefonica di questi eventi è piena di messaggi preregistrati, segnali acustici di ricezione, performance, memorie che si formano nei video delle onboard camera durante i test. dentro il serbatoio che, giro dopo giro, prende a scaricarsi, rimbomba una frenata asimmetrica, il suono di una ruota che gira a vuoto se smette di toccare terra, l’energia di un moto che, istantaneo, si interrompe.

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si sono trasferiti alle avvisaglie, messi di fianco alle risposte, per vedere i nomi di chi vince e chi non vince sull’albo d’oro dei circuiti, di chi c’era ma è come se non ci fosse stato mai, di chi non muore in pista, di chi muore in pista ma non su quella pista, di chi muore in pista e muore, di chi muore in pista e poi non muore. le altre notizie sono materia senza forma, realtà senza informazioni: un titolo di giornale, una foto esplicativa, di solito brutale, a volte dopo giorni, a volte dopo mesi, un paragrafo scomparso al giro della pagina, necrologi senza pianto, lamento. le foto non si trovano, e se si trovano illustrano il dopo, qualche volta il prima, mai il durante. per il momento, niente cellule di sopravvivenza, o meglio, niente sopravvivenza: non possiamo ancora vedere r. che esce quasi illeso camminando dal fuoco dall’abitacolo, scuotendo le mani in fiamme, nel fumo, dopo un frontale contro le barriere, nel distacco, a trenta secondi dalla sua ripresa di coscienza. immaginano che magari, un giorno, potrebbe accadere che r. esca dal fuoco dell’abitacolo e guardi eternamente r. che esce dall’abitacolo della macchina di p., senza fiamme, da cui, camminando, scuotendo le mani in fiamme, non può uscire più nessuno.

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capita alle gambe, e nel cadere con il deltaplano, per gestire il tempo libero, la scuderia che accampa non a torto violazioni di contratto, lo scarica, è proprio vero che lo licenziano mentre è in testa al campionato e non può più difendere i punti acquisiti, si riabilita in sedia a rotelle, una scommessa, p. torna a camminare in pista con le stampelle, la seduta nell’abitacolo e l’effetto suolo a compensare il dolore, una volta in più sul margine, a far girare l’avantreno nello spazio sgranato, eternamente in bassa definizione, delle corse automobilistiche in apertura al decennio breve degli ottanta. sa che può galleggiare, come sempre e come tutti, perché il caso è questo, e lui decide per il limite. ne sappiamo i boschi sfocati di hockenheim, i rettifili interminabili, muti, che aggrediscono in virate, colpi di vento, le foto prima in bianco e nero, poi in saturazione, la forza aerodinamica che disintegra avantreno e retrotreno, i profili indistinguibili e silenziosi delle altre auto, i commissari di pista con la stessa identica espressione, con la faccia di ogni occasione, ché potrebbe accadere anche domani, o dopo, e il ritardo nei soccorsi che non manca, come l’aria che continua a scuotere i rami, radente, al passo con le cime degli alberi.

AI source: Midjourney Bot. Edited by the a.

non i piloti, ma i mezzi. p., in questo finale alternativo, esce dall’abitacolo e guarda r. che esce dal suo schianto con la tuta ignifuga annerita, scuotendo le mani in fiamme, mentre cammina nel fuoco accanto a lui. nei suoi onboard la testa non si muove, i guardrail sono al loro posto, nello squarcio centrale del rettifilo, aperti in due, ci sono protezioni, vie di fuga, c’è tutto, con le mani in fiamme uscire dall’abitacolo, sulle proprie gambe, p. che guarda r. durante la sua ultima gara, senza pubblico, la sua ultima gara, di lui, senza gara, o pubblico, messaggi non letti in segreteria telefonica, niente ritiri, o alberi, né vento a portare la notizia che nessuno, come sempre, potrà uscirne davvero vincitore.

Patrick Depailler car crash (Hockenheim, August 1, 1980). edited by the a.