The fact is that the Christmas festival has never – since its inception – been particularly spiritual. It has, of course, accrued different meanings in varied times and contexts, some of which will be touched upon. In the context of modern America, though, it is certainly not the case that the marketplace has co-opted a Christian celebration to increase sales […] Rather, it is but one face (the religious facet) of that multiheaded hydra that has become America’s cultural hegemon – namely, consumer capitalism.
Richard Horsley, James Tracy, “Christmas unwrapped: consumerism, Christ, and culture”. 1961
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gli scaffali, per prassi, vanno riempiti di giorno e di notte: le ricorrenze non c’entrano. i due di turno, alle due, improvvisano una gara: le scansie, una a testa, la loro plancia di gioco; i prodotti esauriti, come sempre, mandati a memoria; l’ordine degli elementi dev’essere guastato, di proposito, e di nuovo ricomposto. ad ogni errore corrisponde un’ora di straordinari non pagati. a un certo punto, inaspettatamente, arriva qualcuno: devono fermarsi. le arance, nel corridoio centrale, sono piene di grinze. chiede: gli addobbi natalizi sono finiti, devono arrivare. intanto, i cartellini del reparto intimo oscillano vicino al carrello che passa rapido in corsia, si producono in sussulti nel transito delle ruote sulle fughe delle piastrelle. anche se non sembra, è già irreversibile. arriverà presto.
“no gift will ever keep on giving, e così santa claus può vederci tutti quanti, dentro e fuori dall’urna, dentro e fuori dalla corsia, nessuno escluso, e come sennò, poteva forse fare altrimenti, le mani poggiate sui carrelli, farfugliando, a girare le manopole, le gengive, le bottiglie della coca-cola, ruotando intorno alle maniglie dei cestini, dei nastrini, vicino ai giochi del reparto. potevano essere doni e invece sono offerte, rimanenze, meno venti, al risparmio, parte il countdown, meno trenta, cinquanta, qualcosa che sanguina, in giacenza, gimi tris, go fast, a stagnare, gemere, confezionare il pollo, che cola, allenta le asole delle borse termiche, le buste rigide, non tiene la catena del freddo, mentre i clienti intrecciano le dita, vanno a male, prendono a pietrate gli ingressi chiusi”
semplificando santo stefano, esos son reebok o son nike, o forse nessuno dei due, non importa. il manager, in ferie, ride: allo sciopero erano in pochi gli avvisati, e indisponibili. sa che l’antivigilia è meglio della vergogna: una sessione a carmageddon senza pause, checkpoint. più ne prendi, più alto è il punteggio, senza semafori, esclusioni di colpi. i carrelli, nel criterio che straborda, investono le porte automatiche, motorizzate, i pannelli divisori, il banco frigo, i paracolpi in gomma degli espositori; i clienti passano avanti, spesso saltano le file, ne colpiscono altri, in errore, di clienti, si scusano, comunque si comportano, consumano. le isole sono funzioni vuote dei periodi di non-festa, anzi, barriere, rallentamenti decisionali: servono da appoggio, al centro esatto della filiale, per le immancabili foto di rito, gli assaggi gratis.
“but it’s the gift that keeps on giving, e invece si moltiplicano, guarda, nel marcito dei sacchetti salvaspreco, nel guasto accumulato dei batteri, da nessuna parte al mondo un supermercato è perfettamente uguale a un altro, ma somiglia, certo, cambiano i cartelli, i prezzi, le merci, le valute, le normative, eppure serve rendersene conto, le attese, le code possono in effetti cambiare ma restano quasi identiche, tutte le code sono necessarie, tutte le code sono estensioni del corpo, intenzioni d’acquisto, dal fuori al dentro, dal parcheggio alla porta di casa, trasportate per prossimità dalla scala mobile, dai tasselli delle mensole, il nastro in cassa non può essere fermato nemmeno dagli addetti, dai responsabili, le confezioni scorrono, pesate, le vaschette perdono atmosfera protettiva, diventano scarto, eccedenza del forecast, pianificazione di un errore”
dei rituali, dicevano. “inserisci qui il testo”: questo legge, al punto accoglienza, la dipendente del mese, compilando un form per l’invio dei curriculum vitae. le assunzioni sono sempre meno, sono in continua decrescita, mese dopo mese, e la sede centrale non risponde più alla reportistica inviata dal punto vendita, e i resoconti sono sempre meno accurati, opachi, visto che alcuni prodotti non si contano più. i controsoffitti hanno dei fori attraversari dalla luce. in caso di rapina, suonare l’allarme: le casse sono chiuse, a tagliola, l’incasso divenuto inaccessibile, “nelle tue mani affido”, la ricompensa, tornare a casa, la refurtiva, l’assicurazione che sicuramente non ignorerà l’accaduto, la pistola puntata, la serranda che si abbassa, che piagnucola, che va in vacanza, e poi a gennaio il record di vendite, il domani che è fatica: a sopravvivere, intanto, pensando alla lista dei regali.
“abbiamo deciso di portare la reborn con noi durante la settimana bianca, per le feste, nella culla, in macchina sul seggiolino, alla dogana i documenti e la guardia ci fa che che sembra vera, ed è vera, quasi, di carnagione un po’ scura, col completo da sci, i capelli neri, gli occhiali da sole, le guance così rosse per il freddo, la portiamo su al rifugio, sempre con noi, sullo skilift, la seggiovia, a mezzanotte, alla messa, ma che bella bambina, a volte sembra cadere e quasi non ce ne accorgiamo, precipitare giù, nella neve, qualcosa cade dal cielo e lei non riesce a mantenersi dritta, sul seggiolone le diamo da mangiare, è brava, ci somiglia, la neve che le cade sulla testa sembra una maceria lontana, che cade dritta dal cielo, una maceria che quando cade non è ancora maceria, è il precursore, l’anticipo, il presagio di una maceria. se non ci vediamo lo sai, ci trovi lì: è incredibile, è vero, e dire che da lontano sembra quasi viva”
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