Hey man, hey! Hey man, I wanna have a fight with you. From the way that you behave, it is clear to me you would like to have one too. Let’s stop, dance, and do what we both came here to do.
Shellac, “Watch Song”, da 1000 Hurts (2001)
***
qualche volta colpiscono per sbaglio, altre volte danno fuoco di proposito. possono dare più colpe alla terapia, allo stato attuale, alle condizioni della grazia, prendendosi il consenso, una commodity. ciò che resta è “facendo il possibile”, “quanto prima”, “non appena saremo a disposizione”: un limite concluso, invalicabile. a chi serve, d’altra parte, sapere di tutte le domande rimaste aperte, inconcluse? il resto, se ci pensi, si accavalla nel perimetro delle onde, degli abbassamenti di grado. il discorso ha preso lo stesso una sua densità specifica, quantificata: ora può sfoggiare quanto ha abolito dall’interno, fare riflesso di sé, nella predisposizione a lasciar perdere, vacante, al più presto, e poi a perdere quanto rimasto. d’altra parte, a cosa servono le aspettative?
se non è tutto preciso, per filo e per segno, non iniziano nemmeno. hanno una fornitura decennale di sacchi neri, duecento per sessanta, con la zip centrale. anche loro hanno studiato le tempistiche più adatte a far sparire tutto: per tanti anni si sono dedicati alla teoria, con lo scopo di passare, presto o tardi, alla pratica. si danno tanta pena, se ci pensi, mentre ragionano di sintomi, alternanze, stadi di conservazione. i colpi riprodotti negli ambienti di test non sono ancora rappresentabili, così rilanciano al campo aperto del probabile: giorno dopo giorno, allo stato dell’arte, nella temperatura dei lividi, prima dello scavo alle profondità assegnate. lo spazio che si allarga, lassù, è poco meno di una messa in scena. vorremmo dire qualcosa, e invece. se non altro, ci abbiamo provato.
questo si chiama dare importanza a quello che fai, anche quando il rischio è di ferirsi, farsi male, cadere da facenti funzione, operato. fanno in modo, progressivamente, di mettere la giusta distanza fra loro e il bersaglio, per passare inosservati, divenire soggetti autonomi, ascritti a una generica possibilità di resistenza. sanno anche loro, in modo molto chiaro, che le cose vanno dette allo specchio, guardando in avanti, e poi camminando all’aperto, a testa alta, mentre fuori il silenzio resta silenzio e l’udito è in massa critica a ogni passo. a queste condizioni, persino il vento diviene insopportabile. pensano alle liste di parametri, ai valori campionati, poi a guarire. sai bene anche tu che, in fin dei conti, non hanno iniziato loro, e anche fosse non hanno fatto ancora niente.
quasi ogni cosa può essere collaudata in laboratorio, o in un campo aperto, o su un atollo in mezzo al mare: il resto sarà necessario coltivarlo, per sovrapposizione di membrane, piani interpretativi, soggettività, squarci ristabiliti al centro della fronte. è una questione di diritti, se ci pensi, e di quelli davvero indispensabili: ci toccherà reggere, in eterno, tutto ciò che prende fuoco, portarlo in palmo di mano mentre la fiamma si esaurisce. così potranno creare altri soggetti, con l’arte dell’autodiagnosi, imparando a gestire le tecniche di rimozione, il lavaggio del cervello, le terapie del dolore. non possiamo associare in modo corretto gli effetti collaterali, la dose minima, nemmeno dovessimo rimanere qui, da soli, per il prossimo milione di anni.
ci sono un po’ di regole importanti, che è necessario tenere a mente e ripetere, mentre si torna indietro dai luoghi delle stragi. all’inizio non capivo cosa intendessero: con il tempo, invece, mi è parso di vederci più chiaro. la condizione che ci è stata proposta, a conti fatti, è questa: c’è da dire che, terapeuticamente parlando, si soffre molto. i medici passano di corsia in corsia, si assicurano che i pazienti non siano troppo nervosi. non appena il trattamento convenzionale fallisce, riformulano un’altra percezione sugli accecamenti, dalle rimanenze dei corpi, nei varchi azzerati, per le ceneri disperse, provando che lo studio del bersaglio esprime una categoria specifica di violenza. si tratta di restare aperti di mente, creare un’area interpretativa: tuttavia, man mano che si va avanti, potremmo non essere più in grado di stabilire valori per quasi niente.
ALSO @