Iamque ubi pulvereae fuerint confusa farinae,
Protinus in cumeris omnia cerne cavis.
Adice narcissi bis sex sine cortice bulbos,
Strenua quos puro marmore dextra terat. Sextantemque trahat gummi cum semine Tusco:
Huc novies tanto plus tibi mellis eat.
Quaecumque afficiet tali medicamine vultum
Fulgebit speculo levior ipsa suo.

E quando il tutto sarà mescolato in una farina finissima, / passa subito al setaccio dalla rete molto stretta; / aggiungi dodici bulbi di narciso senza buccia, / pestati da una mano energica su una superficie di marmo ben pulita, / che inoltre metta la sesta parte di un asse di liquido gommoso con farina di frumento toscano / e qui ci vada pure del miele fino a nove volte tanto. / Qualunque donna applicherà al volto tale pasta cosmetica, / avrà la pelle più brillante del suo specchio.

da I Cosmetici (Medicamina faciei femineae), Ovidio, ca 1 a.C – 8 d.C., trad. Enzo Santese, Millelire Stampa Alternativa, 1994.

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le forbici non potranno certo andare bene. tutto dipende da cosa intendi per non sfigurare, dall’azione metodica, intrapresa nei legami: un capitale da porzionare in modo accorto, adeguato, al netto di uno o due centesimi per unità di prodotto. potresti, dunque, aver esagerato col trucco: di conseguenza il tagliarsi, o il tagliare. la tua presenza sarà ugualmente indispensabile: se lo percuoti, o lo fai girare, il motore produce ogni volta un valore quantitativo, in anticipo all’anomalia. passiamo, dunque, alle pareti: la ballerina, intanto, volteggia sulle punte in modo impeccabile. lo sai anche tu che in alcuni casi basta un cucchiaio per scavare una voragine. aprire la trousse, farsi un buco all’altezza del sopracciglio. pedalare è diventato difficilissimo.

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bisogna sapere quali sono i muri portanti della casa: individuarli nel tempo presente, conoscerne l’orientamento, la profondità, l’estensione. è inutile lamentarsi del peggio, digrignare i denti, farne questione d’identità. all’interno del domicilio, la solidarietà è importante: ci sono utensili che, una volta comprati, sarà meglio tenere sempre a portata di mano. il danno estetico, al passare degli anni, resta comunque evidente: la cassetta degli attrezzi, ad esempio, al suo interno, contiene alcune prove documentali di quanto avvenuto, piccole viti, staffe per fissare i mobili, cerniere. senza i contenitori, è più facile notare le incongruenze: i fori di trapano svasati dalla pressione delle mensole, le ombre nere circostanti le aree coperte dal nastro adesivo, la solitudine differenziale delle linee di pasta isolante una volta rimossi i sanitari.

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metto di proposito le dita nella presa di corrente perché fondamentalmente non capisco. si trovano, spesso, sopra ai quadri, dietro ai soprammobili, davanti alla testiera del letto: di solito, però, a casa mia sono per terra. non so se posso imparare a maneggiarli, se usandoli bisogna per forza passarli vicino alle pareti. non ho il multimetro, il metro con la chiusura a scatto, il cacciavite torx, la chiave allen. non li trovo, e in un certo senso non mi interessa. ho comunque intenzione di darmi da fare: posso avvitare una lampadina molto piccola in piedi su una sedia che forse un po’ traballa, o sul tavolo, in ginocchio, incastrare l’avambraccio nei raggi della bicicletta, scottarmi le mani, la faccia con le piastre, le padelle, con il vapore delle pentole. mi mancano le suonerie programmate, gli allarmi condizionali, l’automazione degli antifurto.

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un tempo mi serviva ad azionare quelle pistole con cui si fanno i buchi per le orecchie. più avanti, un dispositivo senza filo che si attiva con l’alta pressione. il piede rimane incastrato nei raggi della ruota posteriore. ogniqualvolta mi capita di scegliere tra filo rosso, giallo o blu, fallisco, e l’esplosione è a un passo, pare quasi di sentirla arrivare. mi intrigano le dinamo, i flussi di funzionamento dei componenti meccanici, le cose che girano, il meccano, lo stagno dissaldato, i cubetti, le schede madri, le torri, l’ottone scoperto dei contatti. per quanto tempo, ancora, sarò costretto a pedalare senza sosta, senza fiato, con le gambe a brandelli? fino a quale punto della cronologia dei miei giorni verrà premiata l’interposizione del corpo al flusso di corrente?

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il trapano parte oscillando, facendo vibrare le mani. durante la procedure, si inserisce un dilatatore alla quarta vertebra cervicale. è il momento di festeggiare: potremo bucare gli infissi, entrare dentro, di notte, creare memorie, stanze da riparare. il cemento armato della casa oscilla, di continuo: esso stesso è oscillazione, materiale che si fonde, nei viluppi, grovigli di molecole, e che continuamente degrada se stesso, per divenire qualcosa d’altro. il calore può propagarsi fino al centro della struttura, o meglio, ai tappi in plastica, che poi saltano via dalle loro rispettive sedi. i tappi, mentre volano, possono provocare piccole ferite, lesioni, sempre che siano rivolti verso di noi. la pelle che, nel processo, subirà un danno più o meno permanente, potrà essere coperta, camuffata, riportata alla sua situazione iniziale.

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che facciamo? qualche agente chimico? qualche bomba batteriologica? troviamo insieme i residui dell’alta marea, di tutte le distruzioni di massa intercorse nella storia. sulla schiena, una barriera corallina, con tanto di dettagli, a grandezza naturale. dipende sempre da cosa intendi per tagliare. in giro, i roditori. il volo della mosca appare instabile, ma è una scelta elusiva, una traiettoria calcolata senza errori. non esistono generatori di corrente con meno di due fili. il telaio di qualsiasi vettura conduce la corrente nelle parti non verniciate, predispone alla corrosione. devi tu stesso condurre la corrente, dove ti serve, fare ponte, barriera, usare il corpo come resistenza, evitare l’acqua, i piedi nudi, la massa a terra. devi esserne sicuro. deve valerne la pena. deve essere necessario. non importa come, o perché. devi convincerti.

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