The plans are made, in perfect concentration, for maximized projected profit share, except for a microscopic complication I know cause I’m the one that put it there. […] The hackers and the loudmouths are my heroes, but I’m just too polite to be like them: so, quietly, I make my complications, happy watching crumbling from within.”
Grötus, “Complications”, da “Slow Motion Apocalypse”, 1993
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hanno i dolori lombari, l’esterno del cranio che spinge, comprime la base del collo. già da subito era chiaro che avrebbero scelto loro, per tutti gli altri, e così, adesso, finalmente, sono in procinto di, intenzionati a, in dirittura di. si allungano sulle proprie famiglie come a lavoro: mani che indicano la via da seguire, depositando impronte; che toccano le scrivanie, dando pacche sulle spalle dei collaboratori, delle collaboratrici; che scuotono la macchinetta delle bevande avanti e indietro, per recuperare beni, o denaro; che picchiano sui divisori in plexiglas dell’open space, sulle vetrate delle sale riunioni, sull’alluminio delle cassettiere, sulle maniglie cromate delle porte che conducono alle sale server; che hanno troppo caldo, o troppo freddo; che soprattutto, e molto spesso, controllano, lasciando tracce, brandelli di evidenza, truciolati identitari, a volte i nostri. e certo digitano, e di continuo1.
il loro lavoro c’entra per forza, con le sue caratteristiche di resistenza, di flessibilità, di adattamento, svolto un sistema sociale appena concluso. sentono aria di rinnovamento, eppure ogni mattina non possono fare a meno di percorrere la stessa strada: il parcheggio nella via della sede, i problemi da risolvere adesso, tutto che urge, tutto che è adesso, o vita o morte, tutto che non può attendere un minuto in più e, contemporaneamente, tutto che si può dimenticare, che può succedere, che non sarebbe stato possibile evitare. svolgono le prove di tensione insieme a esperti del settore aziendale: si tratta di un fenomeno complesso, plastico, che solo un uomo ha saputo sfruttare al meglio, al vertice della catena, senza condizioni di resa, un’ultima salute, in sicurezza. se il materiale regge, si può modellare con calma tutto il resto attorno. senza disinserire la freccia2.
restituiscono un quadro sintetico del giorno: non succederà niente, comunque e in ogni caso. non importa, si agitano: parlano di elementi strutturali, colonne portanti, pesi morti, chi è dentro, chi è fuori, chi è proprio meglio che se ne vada. a turno, si alternano nel somministrare punizioni, intimidiscono i pari in sala meeting, li riportano alle loro postazioni, uno per uno: li sistemano, mettendogli le gambe sotto al tavolo, a patto che stiano fermi lì, seduti. il merito, in ordine, andrà: a chi ha portato il fatturato migliore; a chi si è espresso esplicitamente su un sito di stoccaggio; a chi si è espresso sulla effettiva possibilità di morire; a chi si è concentrato sulla propria esperienza sul campo, a chi ha ordinato il pranzo per l’ufficio; a chi ha ricaricato il dispenser dell’acqua; a chi ha avuto il buon gusto di farsi da parte; alle persone perbene. lo spazio, in seguito, è stato occupato: nel modo il più possibile inerte, ben al di sotto della soglia di guardia, hanno somministrato veleno ai residenti per mandarli via3.
non c’è abbastanza spazio sul terreno per riporre i propri averi dove capita: per terra, lo sporco è lettera morta anche per l’impresa di pulizie in servizio il lunedì e il giovedì. non c’è nemmeno l’atmosfera sufficiente per la deposizione sul divanetto, stanchi già per conto proprio, o per la cura di un mal di testa causato dalla gomma anallergica delle paperelle per vasca finita abusivamente nell’inceneritore. non si tratta nemmeno del treno da aspettare per il lavoro, o il tempo inadeguato, prossimo, scosso dal brivido della messa in malattia: fra la prima volta e la seconda, un intervallo, una pausa devoluta a tutto il resto da scordare. da una parte all’altra del mondo e del discorso non ci sono più le dita della mano a cedere doni. a tutti i costi, l’arco asimmetrico delle falangi esporrà i desiderata alla brevità delle merci4.
simili a quelli di età superiore, per ragioni di marketing, di vendita del prodotto, i figli predano il vuoto della domanda, mentre guardano le pubblicità dei vestitini, l’abbaglio notturno dei tergicristalli, gli attacchi isofix, i bambolotti dimenticati sotto il sedile passeggero; un’altra cosa è che appaiano le rughe che meno ci si aspetta e danno subito variante di un possibile girare del tornio, l’utilizzo finale dei bicchierini di plastica prodotti in serie o dei cucchiaini del gelato che il macchinario apposito butta fuori, come scarto, di continuo. il loro aspetto è spesso molto semplice e veloce, assai pratico, dentro e fuori, un cambio di riserva, metti la cintura, togli la cintura, lo zaino, le merende: un pezzo unico, a prova di bomba, conforme alle direttive. vedono prima le aree sporche, per merito della loro visione continua, mentre sbattono da una parte all’altra della casa, demoliscono gli sportelli, gli averi, il lato indenne del produrre, da sempre, al gioco dello specchio riflesso. quasi non sembrano loro5.
(2011, originariamente qui col nome elastomeri, poi in sequenze arbitrarie, 89Plus/LUMA Foundation, Zurich, 2017; riscr. 2023 per BLUNDER)
- they have lower back pain, the outside of their skulls pushing, compressing the base of their necks. from early on it was clear that they were going to choose for themselves, for everyone else, and so, now, eventually, they are about to, intending to, in the home stretch of. They are leaning over their families as if at work: hands pointing the way forward, depositing footprints; touching desks, patting the backs of male co-workers, female co-workers; shaking the vending machine back and forth, to retrieve goods, or money; banging on the plexiglas partitions of the open space, on the glass windows of the meeting rooms, on the aluminum of the drawers, on the chrome handles of the doors leading to the server rooms; who are too hot, or too cold; who above all, and very often, inspect, leaving traces, shreds of evidence, identity woodchips, sometimes our very own. and they certainly digit, and all the time. ↩︎
- their work has to have something to do with it, with its characteristics of endurance, flexibility, and adaptation, performed in a social system that has just being concluded. they feel the air of renewal, and yet every morning they cannot help but walk the same road: the parking lot in the very same street of the headquarters, the problems to be solved now, everything that urges, everything that is to be now, or life or death, everything that cannot wait a minute longer, and, at the same time, everything that can be forgotten, that can happen, that could not have been avoided. they carry out tension tests together with experts in the corporate business: this is a complex, plastic phenomenon, which only one man has been able to make the most of, at the top of the chain, without conditions of surrender, one last health, safely. if the material holds, one can calmly shape everything else around it. without disengaging the blinker. ↩︎
- they return a brief picture of the day: nothing is going to happen, anyway and in any case. no matter, they fluster: they talk about structural elements, load-bearing columns, dead weight, who’s in, who’s out, who’s just better off. in taking their turn, they alternate in administering punishment, intimidating peers in the meeting room, taking them back to their seats, one by one: settling them down, putting their legs under the table, as long as they stay put, sitting there. the honors, in order, will go to: those who brought in the best sales results; those who spoke out explicitly about a storage site; those who spoke out about the actual possibility of dying; those who focused on their field experience; those who ordered lunch for the office; those who refilled the water cooler; those who had the good taste to step aside; and the decent people. the area, afterwards, was occupied: in the most inert way possible, well below the guard threshold, they administered poison to the residents to send them away. ↩︎
- there is not enough space on the ground to store one’s belongings wherever one happens to be: on the ground, the dirt is a dead letter even for the cleaning company on duty on Mondays and Thursdays. there is not even enough ambiance for deposition on the couch, tired already on one’s own, or for curing a headache caused by the hypoallergenic rubber of the tub ducks that ended up abusively in the incinerator. It is not even about the train to wait for work, or the inadequate, upcoming time, shaken by the chill of being put on sick leave: between the first time and the second time, an interval, a pause devolved to everything else to be forgotten. from one side of the world to the other and of speech, there are no more fingers of the hand to yield gifts. at all costs, the asymmetrical arc of the knuckles will expose the wishes to the brevity of goods. ↩︎
- similar to older ones, for marketing, product sales reasons, children prey on the vacuum of demand as they look at dress-up ads, the nighttime glare of windshield wipers, isofix attachments, forgotten baby dolls under the passenger seat; another thing is that they pair up the wrinkles they least expect and immediately give variation of a possible lathe turn, the end use of the mass-produced plastic cups or ice cream spoons that the special machinery throws out, as waste, over and over again. their appearance is often very simple and fast, very practical, inside and out, a spare change, put on the belt, take off the belt, the backpack, the snacks: a one-piece, bomb-proof, directive-compliant self. they see the dirty areas first, because of their continuous vision, as they bang from one side of the house to the other, they demolish the doors, the possessions, the unscathed side of production, from always, to the game of the reflected mirror. they almost don’t look like themselves. ↩︎
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